Porta un fiore a New York City

Porta un fiore a New York City, poi altri cento e ancora mille

Le forme multinaturali di fare arte nella prassi sociopolitica di Sasha Vinci

di Diego Mantoan

  1. Dall’inimmaginabile al possibile, fra la Sicilia e Venezia

 

Entrati assieme nella grande bottega del fioraio Gary Page sulla ventottesima strada, nel cuore di Manhattan in un’uggiosa giornata di maggio, mi colpì lo sguardo sul volto di Sasha Vinci. Per chi conosce l’artista della piccola Scicli, fiore barocco della Sicilia più profonda, l’estasi incontrollata non appartiene al suo repertorio. Vinci è persona tutta d’un pezzo, alterna momenti di calma riflessiva a esplosioni di passione argomentativa, ma sempre mantenendo una flemma capace di conferire gravità alle parole che dice, importanza alle azioni che compie e sostanza alle forme che mette in arte. In quell’antro umido del fiorista newyorchese, il suo sguardo si accese d’improvviso irradiando la stanza flebilmente illuminata da qualche lampada al neon. Non era lo sguardo di un esperto di botanica, tuttavia, che vede la tassonomia passargli di fronte. E nemmeno quello di un fioraio, attento a presentare con cura estetica l’oggetto del suo commercio. Volendo trovare un termine di paragone, forse assomigliava all’espressione della gioia più pura, quella d’un bambino alla vista del suo giocattolo preferito. Era il volto di chi immagina mondi con la materia che gli si presta davanti. Riconobbi subito quello sguardo: mi rammentò di una volta, quando con Douglas Gordon ci imbattemmo in un plico di vecchie riviste, fotografie e poster a un banchetto delle pulci di Berlino, il suo materiale d’elezione. Qui invece la scintilla era scoccata con rose, ranuncoli, ortensie, peonie, gerbere, tulipani, garofani, crisantemi. Più ci addentravamo nella bottega Page, più gli occhi di Sasha Vinci brillavano a ogni fiore che scopriva e si vedeva chiaramente come nella sua mente vi stesse già creando qualcosa. Lo interrogai allora su cosa avesse colpito la sua attenzione, in particolare, e trovai conferma della mia sensazione. La sua conoscenza accurata della qualità botaniche e materiali dei fiori mi convinse, ancora una volta, che l’utilizzo di questi elementi naturali nella sua arte non fosse affatto pretestuosa.

L’uso dei fiori per Sasha Vinci non è nemmeno un caso, bensì costituisce allo steso tempo una metafora empatica e diretta della bellezza e della caducità, nonché il simbolo dell’energia e della fragilità della vita. Il loro breve ciclo di sviluppo è talmente effimero da consentirci di carpire in quel rapido passaggio l’intero arco universale dell’esistenza. Nonostante la sua rapida caducità, tuttavia, il fiore è forse per tutte le culture del mondo l’unico vero simbolo di rinascita.[1] Non è un caso che Vinci lo abbia incontrato in tal guisa fin da piccolo proprio nella tradizione siciliana, che in primavera riveste paesi interi di fiori. A Scicli per la festa di San Giuseppe, che segna la svolta fra lo scampato inverno e la rinnovata primavera, vi si bardano i cavalli che portano in processione il santo.[2] La terra non è morta, suggeriscono i fiori in quell’occasione. La terra ha deciso ancora una volta di risvegliarsi e riversarsi rigogliosa in ogni dove. In un’epoca, in cui si moltiplicano i segni dell’imminente apocalisse ambientale, non vi è metafora più forte e arcaica al tempo stesso. Vinci incontrò il fiore nel suo percorso condotto assieme all’artista Maria Grazia Galesi, con cui iniziò a ricoprire oggetti di memoria personale per poi fondere la tradizione della bardatura sciclitana con la performance art. Nacquero così importanti progetti per il risveglio della consapevolezza ambientale e socio-politica a partire dalla propria comunità per estendersi rapidamente come i semi di certe piante trasportati dal vento. La prima tappa di questa ricerca fu Mutabis (2016), nella stessa Scicli, dove Vinci e Galesi si rivestirono con un pesante drappo fiorito per errare sciamanicamente fra incantevoli paesaggi e monumenti destinati alla distruzione per l’ingordigia umana.[3] L’azione convinse la comunità locale a porre un freno, al meno momentaneo, a queste spinte distruttrici. Grazie al successivo incontro con la galleria Aa29 Art Project la processione dei fiori si spostò quindi su un altro lembo di terra travagliato, il Casertano martoriato dalle discariche abusive, dove l’intervento di Vinci e Galesi trasformò per un giorno l’avvelenata “terra dei fuochi” in un’auspicabile Terra dei Fiori (2017).[4]

 

A queste due tappe se ne aggiunse subito una terza, per puro caso, seppure in maniera del tutto necessaria. Avvenne che in quello stesso 2017 l’Università Ca’ Foscari di Venezia, in collaborazione con ArtVerona, istituisse lo Sustainable Art Prize, un premio ideato da Ca’ Foscari Sostenibile e rivolto agli artisti presenti all’annuale fiera nella città scaligera[5]: un premio anomalo, il cui obiettivo era promuovere i temi dello sviluppo sostenibile, favorendone una maggiore consapevolezza e stimolando l’impegno da parte degli artisti in questa direzione, attraverso l’utilizzo del mezzo artistico quale potenziale strumento di diffusione e divulgazione di tematiche legate alle grandi sfide globali, in linea con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, promossi dall’ONU.[6] Il premio tuttora esistente consiste nella produzione di un’opera che si leghi ai temi della sostenibilità, da tenersi negli spazi dell’Ateneo veneziano affacciato sul Canal Grande coinvolgendo gli studenti e permettendo agli artisti di misurarsi con la comunità universitaria in uno dei patrimoni UNESCO messo maggiormente a rischio dai cambiamenti climatici, in un inedito incontro tra il mondo artistico e la ricerca. Vinci assieme a Galesi portarono in quell’occasione i risultati della Terra dei Fiori: oltre alle fotografie della performance itinerante, che culminò nella barocca Reggia di Caserta, Vinci espose anche numerosi disegni colorati con inchiostri autoprodotti, a metà fra opera pittorica e scultorea, ispirati al tema dell’avvelenamento del terreno e accompagnati da una colonna sonora capace di donare speranza al disastro umano e ambientale che aveva incontrato.[7] La forza di questi lavori, convinse la giuria del premio, specie per la dedizione a dir poco genetica con cui Vinci e Galesi affrontavano i temi della sostenibilità ambientale, sociale e politica. Di straordinaria rilevanza pareva inoltre la loro capacità di tradurre tale impegno in progetti esteticamente risolti e particolarmente efficaci dal punto di vista comunicativo. La giuria apprezzò, infine, l’onestà e disponibilità degli artisti al coinvolgimento del territorio e delle comunità, che emergeva quale cifra caratteristica dei propri interventi.

Il premio non era altro che un invito a Venezia, un invito a unirsi alla comunità universitaria, a ragionare assieme ai giovani studenti di un futuro possibile. Per questa terza e inaspettata tappa, il duo di artisti siciliani ideò La Repubblica delle Meraviglie, creata assieme agli studenti dell’università veneziana come l’ottimo luogo di Thomas More[8]: un’isola utopica, una terra emersa nella quale immaginare forme di rinnovamento sociale e sviluppo sostenibile per una società pacificata, dove la cultura regolasse la vita delle persone. In una dimensione alternativa al reale e proprio partendo dai fiori, simbolo di rinascita e meraviglia, Vinci e Galesi svilupparono workshop, laboratori e discussioni con gli studenti per immaginare  il luogo ideale, inatteso e straordinario, dove l’umano si interrogasse sulla relazione fra arte e vita, nonché sulla responsabilità nei confronti dell’esistente.[9] La Repubblica delle Meraviglie venne quindi dotata di un’armonia sonora, di un drappo, di simboli, di una carta costituzionale, di un territorio e di una popolazione che marciò in processione per le anguste calli veneziane. La performance in laguna giunse quasi naturalmente come terza tappa di un dialogo aperto all’altro capo d’Italia, configurando un’autentica trilogia in cui si avvia la costituzione di una terra di libertà e partecipazione nel segno dello sviluppo sostenibile.

 

 

 

  1. L’onda lunga dell’arte sostenibile nelle vene di Sasha Vinci

 

La Trilogia del Possibile (2016-2018) venuta in essere attraverso queste azioni performative, ancor più, la struttura narrativa ideate da Sasha Vinci con Maria Grazia Galesi affondano a piene mani nella fertile esperienza dell’arte ambientale e partecipativa degli ultimi cinque decenni. Con la lunga stagione di Land Art degli anni Sessanta e Settanta del Novecento ebbe luogo una progressiva presa di coscienza delle più ampie tematiche ambientali nelle arti visive. Due in particolare sono gli Earth Work di quella prima stagione a cui si possono riallacciare i progetti degli artisti siciliani: da un lato i recuperi ambientali di Nancy Holt, dall’altro le invenzioni paesaggistiche di John Latham. A differenza dei celebri innesti biotopici di suo marito Robert Smithson, come nel caso della Spiral Jetty nel lago salato dello Utah, quelli della Holt erano piuttosto inserimenti naturali tesi alla rigenerazione ambientale di spazi usati e poi scartati dall’umanità. Col progetto Dark Star Park (1979-84) a Roslyn, Virginia, l’artista nordamericana si dedicò al recupero di una fetta di terreno abbandonato fra un crocevia di svincoli stradali partendo proprio dalla costruzione di una nuova narrazione del territorio. Oltre a rinverdirlo, scelse infatti di collocarvi delle sculture megalitiche allineate con le posizioni astrali, traendone così un parco di sculture astrologiche e investendo quell’appezzamento di un lirismo vivificante. Pochi anni dopo la Holt fu invitata con l’opera Sky Mound (1988) a rigenerare una discarica nel New Jersey che trasformò in un parco di colline con osservatorio astrale.[10] Un’analoga operazione fu quella compiuta pochi anni prima in Scozia su alcune colline di detriti minerari da John Latham, fondatore dell’Artist Placement Group assieme alla moglie Barbara Steveni.[11] Anche in questo caso l’artista era stato chiamato ad affrontare l’eredità tossica dello sviluppo industriale che aveva irrimediabilmente alterato il paesaggio scozzese. Non potendo eliminare le alte colline brune di scarti della lavorazione mineraria, come in una seduta di psicanalisi collettiva Latham scelse di mettere l’intera popolazione davanti a questa ferita del territorio. Nel tentativo di attribuire un senso a questi aborti ambientali e di evitarli in futuro, l’artista analizzò la composizione delle colline, ne documentò la forma, immaginò una loro costituzione mitologica anziché umana e, infine, diede loro un nome. Così facendo le colline ribattezzate Niddrie Woman e Five Sisters (1975-76) si fissarono come monito indelebile nell’immaginario della società che le aveva prodotte.[12]

Giungendo al termine di un processo di elaborazione narrativa, le tre performance di Vinci e Galesi si collocano a pieno titolo nel solco di questi precedenti storici. Tuttavia, a differenza delle operazioni della Holt e di Latham, non sono gli artisti la fonte unica della nuova narrazione. Attraverso workshop e seminari, specie all’Ateneo di Venezia, I territorio e le comunità dove hanno operato si sono trasformati in un laboratorio per l’elaborazione partecipata di un’utopia sociale, politica, economica, ambientale e scientifica, capace di immaginare e gettare le basi di un futuro realmente sostenibile. Specie con la terza tappa, La Repubblica delle Meraviglie, fu attivato un ampio processo di costituzione che coinvolge tutti quanti aspirino a creare un ottimo luogo per l’umanità. Per questo fondamentale aspetto l’operazione di Vinci e Galesi richiama alla mente altri celebri esempi di arte ambientale e partecipata, in primis l’azione 7000 Eichen (1982-1987) di Joseph Beuys.[13] Nel tentativo di rimboscare la città di Kassel nell’arco dei cinque anni che separavano due edizioni di documenta, l’artista tedesco aveva scaricato una montagna di monoliti davanti al museo Fridericianum, ciascuno dei quali sarebbe stato rimosso e apposto vicino a ogni nuova quercia piantata nel distretto urbano. Beuys avviò un processo collettivo di cui non avrebbe visto la fine, ma che coinvolse centinaia di persone fra volontari e collezionisti. Fu infine ripreso anche dal DIA Center di New York che ripropose la celebre azione di comunità nella Grande Mela con il titolo 7000 Oaks (1988). Le querce sono cresciute alte e forti, mentre i monoliti posti affianco – ormai bassissimi in confronto agli alberi – rimangono come silenziosi testimoni di una collettività che ha deciso di ripartire dalla natura, anziché costruire monumenti. Una scelta che porta avanti anche Sasha Vinci, il quale si affida tuttavia al soffio di vita effimero e alla delicatezza dei fiori, presagi di vita naturale e simboli di rinascita costante. La loro presenza nel tessuto storico di Scicli, poi di Caserta e infine dell’inurbamento lagunare pare voler riconquistare territori storici, luoghi emersi in simbiosi con il proprio ambiente naturale. I fiori associati alla monumentalità dei luoghi italiani generano l’immagine di un’umanità che ritrova la via della natura o quantomeno di una società che non intende più sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti dell’ambiente di cui fa parte.

 

Ed è proprio questa prospettiva integrata che riallaccia questi ed altri progetti di Sasha Vinci, come le esperienze scultoreo-ambientali intitolate Non si disegna il cielo (2017-2018), alle più recenti esperienze di arte ambientale e partecipata. Riecheggia anzi chiaramente una comunanza con i numerosi progetti realizzati già nel 2007 per la mostra Weather Report al Boulder Museum of Contemporary Art, Colorado. Grazie alla curatela di Lucy R. Lippard, fra le prime influenti teoriche donna al mondo e strenua attivista per i diritti femminili, l’esposizione di Boulder si trasformò in una carrellata di proposte artistiche che avevano abbandonato i tradizionali toni apocalittici o shoccanti riguardo al futuro del nostro pianeta, preferendo invece coinvolgere i visitatori a livello emotivo e intellettuale per sovvertirne progressivamente le convinzioni.[14] Seguendo questa strategia, Sherry Wiggin realizzò numerosi Carbon Portraits (2007), ossia la rappresentazione visiva del Carbon Footprint dei visitatori che aveva intervistato, così da mettere il pubblico di fronte alle proprie responsabilità individuali. Chris Jordan invece fece familiarizzare il pubblico con la dimensione delle proprie responsabilità collettive, rappresentando con collage fotografici intitolati Running the Numbers: An American Self-Portrait (2007) il numero di SUV acquistati negli USA o l’effettiva quantità di bottiglie di plastica consumate dagli americani ogni cinque minuti, ossia 2 milioni. Tornando ai fiori e basandosi sugli studi dell’università di Vienna, il video The Mountain in the Greenhouse (2001) realizzato da Helen Mayer Harrison e Newton Harrison mostrava un massiccio roccioso che si spogliava progressivamente della sua fauna naturale: a causa dell’innalzamento del clima i fiori risalivano la montagna fino alla cima per poi sparire irrimediabilmente. Sempre a partire dagli effetti del cambiamento climatico, Mary Miss propose l’installazione diffusa Connect the Dots: Mapping the High Water, Hazards and History of Boulder Creek (2007), ossia l’apposizione di grandi bollini blu su edifici e pali in tutta la città per visualizzare il livello che raggiungerebbero inondazioni causate dalle nuove catastrofi naturali. Le opere di Sasha Vinci, così come i progetti descritti da Weather Report, appartengono a una nuova e assai efficace categoria di arte ambientale e partecipata: oltre a far riflettere lo spettatore, sono bellissime. Ed è proprio dei grandi artisti riuscire a formalizzare un utopia, sposando in una sola immagine le idee con le qualità estetiche. Il dono ulteriore che ci lascia l’artista siciliano è infine quello di immaginare assieme a noi l’utopia di un futuro possibile. Le recenti performance non sarebbero state possibile senza l’aiuto pratico e di immaginazione delle comunità coinvolte. Vinci ci lascia così due messaggi potentissimi. Il primo riguarda il nostro pianeta: nessuno potrà mai salvarlo singolarmente, ci vuole l’apporto di tanti o perfino di tutti. Il secondo apre uno squarcio su un futuro possibile che, anziché distopico e da incubo, può essere bellissimo come un tappeto di fiori.

 

 

 

  1. La Grande Mela, un muro di fiori e le ragioni del multinaturalismo

 

E poi giunse un invito da New York City, in pieno inverno. Gli echi della performance condotta all’Università Ca’ Foscari di Venezia si fecero sentire nel board internazionale della società scientifica EDRA, la principale organizzazione di studiosi impegnati nella pianificazione ambientale, che di lì a breve avrebbe festeggiato il suo cinquantesimo anniversario con un grande convegno alla New York University, presso il campus della Tandon School of Engineering nel cuore di Brooklyn.[15] Si andò così definendo la prima tappa oltreoceano nel lavoro di ricerca sociale e artistica di Sasha Vinci per il principale convegno nordamericano dedicato ai temi della sostenibilità urbana, un’azione sempre promossa dall’Ateneo lagunare attraverso Ca’ Foscari Sostenibile e la collaborazione del Humanities and Social Change Center di Venezia, nonché con il supporto della galleria aA29 Art Project e il sostegno scientifico del Dipartimento di Studi Umanistici. Dopo un attento studio del contesto metropolitano, Vinci diede vita al progetto A Human Flower Wall (2019), una performance tesa a riflettere le contrapposizioni tra un’attuale società occidentale sempre più chiusa in se stessa e un’ideale società protesa al raggiungimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, emblema di integrazione, accoglienza e inclusione sociale. L’azione partiva idealmente dal lavoro compiuto con gli studenti veneziani, la prima comunità utopica creata nel lavoro dell’artista siciliano, per estendersi a una popolazione capace di pervadere New York City, la Babele contemporanea, il melting pot per eccellenza. Il 26 maggio 2019 un corteo di persone attraversò come una massa critica, unica e compatta, le vie della Grande Mela a partire dal campus della NYU Tandon, componendo simbolicamente un muro biologico e in movimento, composto da fiori e persone che attraverso l’elemento del fiore voleva andare al di là di qualsiasi forma di  separazione o divisione per diventare un ponte verso una società equa e inclusiva, priva di barriere fisiche e mentali. Come nelle precedenti tappe, il momento di condivisione e costruzione della popolazione era caratterizzato dall’infiorata, durante il quale studenti della NYU e partecipanti al convegno di edra50 brooklyn si unirono per comporre con i fiori striscioni e cartelli che sarebbero stati portati all’improvvisata manifestazione della natura per la natura. L’infiorata è il momento magico in cui il fiore esprime la sua massima bellezza estetica e la sua inarrestabile forza coesiva per le comunità di donne e uomini. Migliaia di coloratissime gerbere vennero applicate sugli strumenti della processione, trasformando così ogni singolo partecipante in una parte essenziale del tutto, in un mattone di una costruzione sociale tanto variegata, quanto forte e coesa. Fiore dopo fiore il muro prese forma, diventando un trionfo di note naturali risonanti contro gli echi totalitari dei poteri contemporanei. Fu così che in quella primavera del 2019, mentre in altri luoghi si progettavano muri e mari di divisione, A Human Flower Wall diede vita a una nuova idea di comunità, in cui il fiore diventava il collante tra le disuguaglianze, il legame tra le diversità. Quest’azione artistica e sociale, portata nel cuore di New York, voleva idealmente liberare l’umanità dalla morsa del consumismo che livella le differenze e trasforma i popoli in un insieme che scorda il potere della meraviglia. Al termine della performance, come richiamo all’azione avviata dagli studenti veneziani, venne proiettata la Trilogia del Possibile al Pfizer Auditorium con l’esecuzione dal vivo della Sinfonia della Repubblica delle Meraviglie (2018) creata dal musicista e compositore Vincent Migliorisi per l’Università Ca’ Foscari assieme alla voce lirica della cantante Giulia Alberti, generando una commozione di fiori e note.[16]

Per Sasha Vinci A Human Flower Wall è servito per tematizzare nel contesto metropolitano i meccanismi di dominio che oggigiorno inducono a osservare l’orizzonte della normalità, escludendo dalla vita l’estraneo o il diverso, fomentando la paura per l’altro, come se tale diversità potesse contagiare la società e trascinarla nell’abisso dell’a-normalità. L’artista siciliano ha reagito a questa deformazione del presente, creando un’opera capace di esaltare l’idea dell’esistenza e parlando di un rapporto sano fra il potere politico e il bìos, la vita, ma non quella del singolo individuo, bensì la vita della collettività, quella della comunità in unione al suo ambiente. In uno scenario mondiale in cui si registra ormai lo schiacciamento della politica sull’elemento biologico, A Human Flower Wall è un’opera che intende dilatare le maglie della coscienza, per affermare un pensiero libero che parli di interdipendenza reciproca tra i viventi, educandoli all’accoglienza del nuovo e al rispetto dell’ambiente. Nelle stesse parole dell’artista siciliano “il Muro è simbolo di un mondo spaccato, confine innaturale che separa le persone fra loro, le città dalla natura, dividendo fisicamente il mondo in blocchi e modelli contrapposti. A Human Flower Wall non è pertanto una barriera di mattoni, di legno, ferro o cemento, bensì un muro di persone, individui liberi che desiderano un mondo diverso in cui vivere. La performance esprime visivamente la pervasività, la bellezza e la forza di quell’onda giovanile che proprio in questi giorni sta acquisendo sempre maggiore consapevolezza nei confronti dei problemi legati allo sviluppo sostenibile. Verrà così dato corpo all’impegno per la creazione di un mondo possibile che includa le genti e generi unione tra i diversi patrimoni di conoscenze, tra urbanesimo e natura.”[17]

 

Sempre in maniera spontanea e inaspettata, come un nuovo seme trascinato dal vento a partire da ogni tappa di questo lungo percorso, l’arte di Sasha Vinci raggiunge nell’autunno 2019 altri spazi della metropoli americana. Nel cuore di Manhattan, a pochi passi da Columbus Circle, apre questa prima mostra personale newyorkese dell’artista siciliano che ha fatto degli elementi naturali come foglie e fiori – sia vivi sia rappresentati – il suo segno autografo con cui intende restituire alla natura la sua forza per arginare le derive di un pianeta iper-urbanizzato. Proprio in un contesto metropolitano totalmente antropizzato, dove ogni attività e spazio sono dominati dall’uomo, le opere di Sasha Vinci diventano “segni” luminosi che suggeriscono percorsi alternativi, finestre su mondi possibili, per immaginare una nuova forma di umanità responsabile che si proietti verso un multinaturalismo necessario a superare la devastante era dell’antropocene. La magnificenza della natura, la sorprendente meraviglia di nuove forme colorate, lo stupore per possibili incroci tra flora, fauna e umanità assurgono allora a icone di bellezza che racchiudono un messaggio di speranza per il futuro e, al tempo stesso, di rivoluzione per il presente. Le opere esposte all’ultimo piano di The Yard per il programma Art in Lobbies, selezionate dalla curatrice Sarah Crown, sono realizzate appositamente per la Grande Mela e si inseriscono in un ambiente intimistico, capace di amplificare quella riflessione sulla compenetrazione fra umanità e natura auspicata dall’artista. Cariche di simbolismo, le creazioni di Sasha Vinci percorrono temi non ancora superati, nel tentativo di costruire una relazione che vada oltre i confini della dimensione umana, verso un’altra prospettiva, verso al cosmo dell’alterità. Le immagini proposte sono visioni oniriche, a tratti surreali di esseri viventi non-umani o post-umani, che si completano attraverso lo sguardo dello spettatore, diventando metafora stessa dello specchio, in cui gli esseri umani e non vengono posti l’uno di fronte all’altro, per dar vita a nuove relazioni tra entità viventi. Dal suo abisso la natura pervade con un respiro magnifico ogni cosa producendo il volto multinaturalista del domani.

Sasha Vinci in queste nuove opere newyorkesi genera significati e significanti capaci di definire assieme un segno potente al punto da irrompere nell’elemento naturale liberandone il grido. Idee e concetti vengono così impressi sulla carta creando uno spazio aperto fra ordine e caos in cui l’artista immagina una nuova condizione esistenziale per gli esseri che abitano questo pianeta. Le iconografie rimangono sospese e si aprono a molteplici interpretazioni, si accordano in armonia, diventando il riflesso dell’epoca che attraversiamo. Le diverse tecniche pittoriche utilizzate – olio, pigmenti, inchiostri, acrilici, smalti, pastelli e grafite – sono ottenute da materie naturali e sintetiche, che si concentrano e diluiscono lungo lo svolgimento delle immagini, delineando attraverso forti cromie e un segno deciso, la morbidezza di uno sguardo differente e possibile. Giunti ai limiti estremi del multiculturalismo, il quale ormai esausto per i continui attacchi dei populismi di ogni dove non basta più per creare comunità realmente sostenibili, l’artista siciliano sostiene le ragioni del multinaturalismo come chiave per aprire lo sguardo e la porta verso un domani fatto di forme e sostanze ancora impensabili. Chi può dunque avere paura di questa forma di multinaturalismo, necessario ormai in maniera conclamata come l’aria che per poco ancora potremo respirare sana? Tantissimi, o comunque tutti coloro che non sono pronti a subire le conseguenze dello schiaffo morale di cui l’umanità ha bisogno per risvegliarsi dell’incubo in cui si è proiettata da sola. Allora meglio esperire le opere di Sasha Vinci come uno schiaffo inaspettato, quello ricevuto da una persona cara, per costruire una società che superi perfino il multiculturalismo per dirigersi verso la forma multinautrale del domani.

 

 

 

 

[1] Fondamentale per comprendere il rapporto delle società orientali e occidentali coi fiori è il volume dell’antropologo britannico Jack Goody, The Culture of Flowers, Cambridge: Cambridge University Press, 1993.

[2] Memorabile è la prosa d’arte dedicata alla Sicilia proprio a partire dai fiori di Jarosław Iwaszkiewicz, Un sogno di fiori e bagliori: giorni in Sicilia, Messina: Mesogea, 2013.

[3] Catalogo: Mutabis, Milano-Caserta: aA29 Edizioni, 2016.

[4] Catalogo: La Terra dei Fiori, testi di Daniele Capra e Gabi Scardi, Milano-Caserta: aA29 Edizioni, 2017.

[5] Per ulteriori informazioni in merito si guardi il sito web di Ca’ Foscari Sostenibile: https://www.unive.it/sostenibilita

[6] Per ulteriori informazioni in merito si guardi il sito web di dell’ONU dedicato ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile: sustainabledevelopment.un.org

[7] Catalogo: Viaggio in Italia: #BACKTOITALY, Verona: ArtVerona, 2017, pp.160-161.

[8] Catalogo: La Repubblica delle Meraviglie, a cura di Diego Mantoan e Paola Tognon, Venezia: Ca’ Foscari Sostenibile 2018.

[9] Diego Mantoan, “Alle radici dell’arte ambientale e partecipativa”, in La Repubblica delle Meraviglie, a cura di Diego Mantoan e Paola Tognon, Venezia: Ca’ Foscari Sostenibile 2018, pp.7-9.

[10] Suzaan Boettger, “Environmentalist desire”, in Oxford Art Journal, vol. 35, n. 1, 2012, p.108.

[11] David Elliot, John Latham: Art After Physics (Oxford, The Museum of Modern Art, 13 Oct. 1991 – 5 Jan. 1992), Stuttgart-London: Ed. Hansjörg Mayer, 1991, p.45.

[12] Craig Richardson, Waste to Monument: John Latham’s Niddrie Woman, in Tate Papers, n. 17, Spring 2012: https://www.tate.org.uk/research/publications/tate-papers/17/waste-to-monument-john-lathams-niddrie-woman

[13] Heiner Stachelhaus, Joseph Beuys. Una vita di controimmagini, trad. it. di R. Gado, Monza: Johan & Levi Editore, 2012, p.133.

[14] Suzaan Boettger, “Global warnings”, in Art in America, June-July 2008: http://www.pikalarm.net/pdf/Art%20in%20America_%20Global%20warn…pdf

[15] Per maggiori informazioni si veda sito: https://www.edra.org/page/edra50

[16] Per maggiori informazioni si veda il post ufficiale della NYU Tandon a giugno 2019: https://engineering.nyu.edu/news/flower-power

[17] Dichiarazione dell’artista dal comunicato stampa ufficiale della performance rilasciato ad aprile 2019.

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