Sasha Vinci, Possibile Politica Pubblica (P.P.P.)

Possibile Politica Pubblica

Sasha Vinci, Possibile Politica Pubblica (P.P.P.)

di Maurizio Bortolotti

Esisterà allora una sola bellezza; natura e umanità si fonderanno in una sola divinità nel-la quale tutto sarà contenuto.
(Iperione, F. Hölderlin)

La Mostra di Sasha Vinci, Possibile Politica Pubblica (P.P.P.), presentata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è un evento singolare nel panorama dell’arte italiana.

È una mostra che vuole essere un’esortazione contro l’immobilismo della situazione in Italia e si caratterizza con una forte connotazione etica. L’artista reagisce contro la condizione culturale e sociale Italiana, che sta vivendo un periodo di ristagno, con una mostra che è insieme un gesto artistico ed etico-sociale.

Non è un caso che il percorso inizi con una frase di Pier Paolo Pasolini: Ecco una terra non ancora colonizzata dal potere.

 

È il riferimento ideale cui guarda l’artista e la chiave per leggere l’intera mostra.  La scritta, realizzata su un lungo tappeto rosso all’inizio delle Sale Farnese del museo, è come una frase urlata da un megafono, ma contiene al suo interno un richiamo a un luogo alternativo, una terra diversa per una comunità diversa. Questa terra non colonizzata dal potere è un luogo immaginario, un punto lontano, forse irraggiungibile, ma che permette all’artista di suggerire una visione alternativa alla condizione attuale.

 

Una componente importante della mostra è di dispiegare l’immaginario dell’artista che si costituisce in una visione del mondo. La “terra non ancora colonizzata dal potere” è uno stato mentale, prima ancora di essere un luogo reale, e ci fa comprendere la forza visionaria che attraversa il progetto espositivo. In Possibile Politica Pubblica (P.P.P.) la tensione visionaria e onirica dell’artista conferisce alle opere una coerenza interna che fa sì che la mostra appaia come un’unica narrazione dispiegata nelle singole opere.  In particolare, la capacità di creare un nesso tra l’iconografia e la parola scritta è il tentativo di rielaborare la tradizione dell’arte concettuale conferendogli una connotazione di impegno sociale.

La frase di Pasolini rimanda a un momento della storia italiana di intensa creatività, sociale e artistica, ma anche di impegno civile di fronte ai cambiamenti del suo tempo. Allo stesso modo, Vinci utilizza le immagini per creare un nesso tra la rappresentazione artistica e l’impegno sociale. Le opere possiedono questa dualità che va compresa, altrimenti la sua produzione artistica apparirebbe come un semplice esercizio di stile.

 

L’artista non si nutre delle immagini della cronaca quotidiana, cercando di trasmettere un principio di realtà critica che essa produce, ma è attento a realizzare una propria visione del mondo circostante. È come una rappresentazione di sogno, che affonda le sue radici in una Sicilia senza tempo, dove l’artista vive e da cui deriva l’uso dei pennacchi esposti in mostra. L’opera successiva, La Torre del Tempo è composta da una serie di forme poligonali in legno che compongono una struttura verticale che si avvita verso l’alto. Nelle facce poligonali egli mostra alcuni disegni che riprendono immagini dalla cronaca o esperienze personali, dove il tempo è quello presente. Collocata in una sala piena di sculture con marmi colorati, l’opera è una rappresentazione del mondo in chiave babelica, che l’artista contrappone alla purezza del luogo indicato nella scritta pasoliniana. È la rappresentazione del mondo contemporaneo sublimata nella visione dell’artista. È questo un elemento importante per comprendere la genesi dell’opera di Vinci. Il fatto che le immagini si riferiscano a fotografie riprese dalla cronaca ma siano poi trasformate dall’azione dell’artista e unite a quelle di ricordi ed emozioni personali fa comprendere come egli elabori una visione della realtà e non semplicemente la rispecchi. Poiché per Vinci l’arte è un “fare mondi”, come avrebbe detto Nelson Goodman. La sua capacità di elaborare le immagini in una visione complessa è un livello in più di una rappresentazione artistica come rispecchiamento della realtà contemporanea; un costruire mondi come sguardo personale e interpretazione della realtà. La venatura onirica delle sue opere serve a conferire loro un carattere di visionarietà, distanziandole dalla cruda realtà; come una lente attraverso cui l’artista osserva il mondo.

 

La scelta del luogo, il MANN, uno dei principali musei archeologici d’Europa dedicato all’arte greco-romana, ha influenzato la genesi della mostra in un dialogo serrato con la sua identità e le radici della cultura italiana che il museo rappresenta.  L’immagine della terra pasoliniana non contaminata dal potere all’interno del percorso storico del museo crea una condizione di sospensione. Il grido di esortazione al cambiamento si invera dentro un museo, che raccoglie e tramanda l’identità culturale e civica del paese. L’intera mostra è un trampolino che l’artista utilizza per dispiegare la sua visione e condurre il visitatore all’interno della sua narrazione. È questa tensione verso una terra ideale che caratterizza la mostra a creare il mondo alternativo di Sasha Vinci. Egli costruisce uno spazio immaginario radicato in un senso etico.

 

Seguendo il filo del suo pensiero per immagini incontriamo un’altra installazione Il gioco della Deriva, un busto in terracotta con patina nera posto su un poliedro, che rappresenta il ritratto nascosto dell’artista poiché ricoperto di foglie di nespolo, posto a fianco di un’asta sulla quale si trova un pennacchio bianco.  Quest’opera, collocata in mezzo a un gruppo di sculture classiche romane, è come un’apparizione per il visitatore e sviluppa ulteriormente il dialogo con la collezione permanente del museo. Le piante di Nespolo erano di buon auspicio e simboleggiavano protezione presso gli antichi romani, perciò la loro scelta instaura un dialogo intimo con le opere antiche. Per l’artista quest’opera simboleggia l’immagine della Natura che ricopre il corpo umano, in un dualismo dove l’Ego diventa Eco, instaurando un rapporto osmotico e di rispetto della natura che appartiene a una terra non colonizzata dal potere degli esseri umani. Il gioco della Deriva, ripreso anche in un’altra opera in mostra, la fotografia di un dettaglio del corpo umano con ali ricoperte ancora da foglie di Nespolo, ribadisce la natura visionaria del lavoro dell’artista, in cui il Multinaturalismo appare come l’unione di umano e natura. L’idea della deriva è l’espressione del limite tra umano e natura, punto di contatto dove l’uno si trasforma nell’altra e viceversa. Nella realizzazione di quest’opera vi è un chiaro rimando alla performance della Terra dei Fiori, un’altra immagine di una terra ideale creata dall’artista in passato.

L’opera di Vinci è basata su una continua trasformazione di immagini in concetti. La spinta etico-sociale che è alla base della sua produzione artistica si manifesta nel carattere di evento della sua opera. L’artista utilizza tutti i mezzi a disposizione, video, disegno, fotografia, performance artistica, materiale sonoro, testi scritti. E questo dà al lavoro un carattere plastico, fluido, dove l’elemento della trasformazione è alla base della sua produzione. Egli non pone l’accento sulle singole opere, ma sulla sequenza di queste, sul modo in cui riesce a sostanziare la sua visione dinamica trasformandola in immagini.

L’opera che più di tutte radica la mostra nel contesto della città che ospita è Canta Napoli. In una lastra circolare di alabastro l’artista ha inciso la congiuntura celeste sopra Napoli nel giorno del 21 Giugno 2021, solstizio d’estate. Mentre lungo la sua base è incisa una lunga linea che descrive lo skyline della città, che l’artista traspone sul pentagramma, da cui ha ricavato una musica che è parte dell’installazione e rappresenta l’immagine del paesaggio sonoro della città. Il paesaggio sonoro è un riferimento ideale alla vitalità della comunità napoletana. È l’alternativa alla staticità della situazione italiana, denunciata nella mostra con la frase di Pasolini. Il Canta Napoli simboleggia l’insieme delle voci della città, la popolazione con la sua vivacità culturale e sociale. La visionarietà che caratterizza il percorso della mostra, con i suoi contorni da sogno, trova un punto fermo in quest’opera site specific, che appare diversa dalle altre per la concretezza del suo riferimento e per il suo legame diretto con Napoli. È l’opera che collega la mostra al luogo specifico dove accade, conferendole un carattere di evento che ancora una volta ribadisce l’aspetto performativo che attraversa l’intera produzione dell’artista.

Non tocca terra la parola, collocata di fronte al Toro Farnese nell’omonima sala, chiude il percorso iniziato da Ecco una terra non ancora colonizzata dal potere ed è la trasposizione iconografica delle parole di Pasolini. La parola non tocca terra perché alta, leggera, degna di simboleggiare una terra utopica non ancora colonizzata dal potere. Composta da lunghe aste sopra cui sono montati dei pennacchi rossi e ancorate a terra da grandi forme poligonali, che rappresentano un riferimento alla grande pietra a forma di dodecaedro platonico nella incisione di Albrect Dürer Melancolia I. La purezza delle forme geometriche platoniche mostra ancora una volta la volontà di descrivere un luogo utopico. Questo riferimento ideale alla rappresentazione allegorica dell’artista rinascimentale ci fa comprendere l’intenzione simbolica nell’opera di Vinci. Anche qui la parola che si trasforma in immagine è un’iconografia allusiva, con un significato pluristratificato, che impronta l’intera mostra. I titoli sono parte imprescindibile delle opere e diventano essi stessi opere, a rafforzare l’azione di trasformazione delle immagini in concetti e viceversa. L’artista gioca con i titoli, che a volte appaiono misteriosi, collegandoli alle immagini in uno scambio continuo che crea un piano simbolico.

Non tocca terra la parola, posta alla fine del percorso espositivo, è la risposta per immagini dell’artista alla frase iniziale di Pasolini, conferendo alla mostra una struttura circolare che ne rafforza la coerenza interna e gli conferisce un carattere onirico e visionario che rappresenta il mondo dell’artista. La circolarità, anziché lo sviluppo lineare, crea le condizioni per una rappresentazione allegorica. La linearità rappresenta lo sviluppo della storia, in cui era immerso Pasolini, la circolarità è invece la rappresentazione di un presente sempre uguale a sé stesso; ma in questo ritorno dell’uguale sono le immagini delle cose a cambiare di significato producendo il piano allegorico. Possibile Politica Pubblica (P.P.P.) prende spunto da Pasolini e dall’ impegno sociale che l’artista condivide e traspone su un piano di narrazione allegorica, che è la struttura del suo pensiero per immagini.

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